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ALETHEIA: IL PROFUMO DELLA LIBERTA'
progetto di installazione site specific per ARTELAGUNA PRIZE 2019-2020
Le cronache più recenti ci ripropongono il tragico tema della violenza sulle donne che spesso culmina nei femminicidi. A questo, politica e società cercano di far fronte con nuovi progetti educativi per far in modo che nelle scuole venga insegnato e promosso il rispetto di genere. Le statistiche dimostrano però che il tema resta di grande attualità anche nelle società più evolute del nord Europa dove i sistemi educativi sono considerati i migliori al mondo.
  
Questo è il soggetto dell’installazione ALETHEIA: IL PROFUMO DELLA LIBERTA' che propone una riflessione a più livelli sul tema della sopraffazione femminile e dello stato del rapporto di genere che si articola attraverso le quattro componenti che costituiscono l’insieme dell’opera, a partire dalla piccola scultura (ROOTS) posta nella parte sinistra dell’installazione, per passare, attraverso le altre sculture – RULES e MOKHSA – all’opera centrale dell’installazione (WALL OF DOLLS) che propone la domanda:  
is education the key? (è l’educazione la chiave di tutto?) 
Le radici e le regole culturali a cui noi tutti siamo soggetti costituiscono il fondamentale background da cui sopraffazione e violenza traggono linfa. Questo è il soggetto di ROOTS in cui una morsa di radici tentacolari schiacciano un contenitore vuoto, simbolo di un’essenza che deve ancora formarsi. Radici, tradizioni, costumi non sono altro che modi per cercare di dare una accezione romantica e positiva al tentativo di mantenere e consolidare nel tempo, delle posizioni arcaiche e ormai anacronistiche, che sottendono ad un’esigenza di controllo della persona.
Questo tocca inevitabilmente alcuni temi tabù come quelli della famiglia, del ruolo della donna (e dell’uomo) all’interno del nucleo familiare e nella società, dell’educazione delle nuove generazioni, in cui si rileva il permanere di una mentalità di fondo nella quale i tradizionali ruoli di genere rivelano una dominanza maschile sulla parte femminile (che è vista ancora come una proprietà di cui il maschio può disporre a suo piacimento).
Naturalmente le radici si legano indissolubilmente a delle regole (RULES, il titolo della seconda scultura) familiari e sociali che si sono fossilizzate e che, come le tradizioni, tendono a perpetrare se stesse nel tempo. Morale, educazione, ruoli sono sempre stati e si mantengono ancora, di fatto, diversi a seconda del genere delle persone. Ognuno di noi, non appena nato viene instradato verso una visione del mondo in cui il genere di appartenenza ha una valenza assoluta. 
Basta guardare i colori che circondano i neonati per rendersi conto di quanto sia subdolamente presente questa visione che inizia con la nascita stessa della nuova creatura, ma che poi prosegue con il successivo, altrettanto subdolo, insegnamento/imposizione di regole - stabilite non si sa bene da chi - e che sono  diverse a seconda del sesso .
Alla luce della vita contemporanea, questa visione “di genere” è però ormai superata: la supremazia del maschio, in un’epoca in cui la forza fisica non rappresenta più un fattore rilevante, così come la concezione del possesso della donna da parte dell’uomo, in tempi in cui la liberazione femminile e sessuale dovrebbero essere ormai scontate, appaiono concetti non più accettabili. E di questo si rendono conto, spesso troppo tardi, le donne che sono vittima di violenze e che non riescono ad uscire da quella gabbia in cui, ad un certo punto, senza rendersene conto, si sono trovate.
MOKHSA è la rappresentazione di questa contraddizione: da una parte la gabbia che la donna, nella quotidianità si trova a percepire, nell’insicurezza generata dal contrasto tra l’educazione ricevuta, che la relega ad un ruolo di assoggettamento e sottomissione al suo uomo, e l’evidenza che dimostra che una donna non è da meno di un uomo, in nessun ambito.
  
Nello stesso tempo, l’opera mette in evidenza che il concetto di “possesso” di una persona è cosa quanto mai assurda: cose materiali e corpi possono essere oggetti di possesso ma non certamente una persona, che oltre a un corpo possiede anche un’anima.
Si può tenere segregata una persona, isolata dal mondo come in una prigione, ma questo non ne implica il possesso.
E lo sguardo che nell’opera emerge dalla barriera lignea ne è fiera testimonianza, così come le farfalle che possono essere viste come simbolo di una libertà di spirito che sempre sarà indomita: in fondo non si potrà mai ingabbiare un’anima.  
La grande opera centrale (WALL OF DOLLS) pone quindi la grande questione: è l’educazione la chiave di tutto?
È sufficiente insegnare alle persone, ai bambini, che non si deve arrivare ad esercitare atti violenti per risolvere la questione,
quando poi i modelli comportamentali di riferimento, i cosiddetti esempi che i ragazzi hanno sotto gli occhi ogni giorno
contraddicono le parole degli educatori?

E purtroppo le vittime non sono solo le appartenenti al sesso femminile, instradate sin dall’infanzia, più o meno consciamente, ad un ruolo di sottomissione, ma anche i loro coetanei di sesso maschile, a loro volta educati ad un ruolo di dominanza che lascia poco spazio alla fragilità, vista come aspetto di debolezza da negare (proprio a questo riguardo le figure alate poste a testa in giù nell’opera non presentano riferimenti e simboli di identificazione sessuale).
La soluzione?
Difficile a dirsi ma certamente un primo passo potrebbe essere quello di abbandonare questa “visione di genere”
a favore di quella di essere umano.

Dal punto di vista educativo, poi, si tratterebbe di far passare il principio fondamentale di benessere
come diritto fondamentale della persona, che va ricercato coltivando concetti come l’autostima, l’autonomia e la creatività
 in una continua e difficile ricerca di un equilibrio tra rispetto di sé e quello degli altri . 
 
Se imparassimo a considerare le differenze di genere alla stregua di differenze somatiche quali il colore degli occhi o dei capelli
ci libereremmo una volta per tutte di un mondo diviso tra un emisfero femminile ed uno maschile.
Parlare, con un termine unificante, di persone e non di maschi e di femmine, implicitamente,
spazzerebbe via le differenze e di conseguenza anche la stessa visione di genere.
 
Per ritornare alla questione posta dall’opera, certamente anche questo rimanda ad un concetto di educazione, ma ancor prima rimanda ad un riflessione sulla visione generale delle cose e ad un
cambio di paradigma di cui la società contemporanea sembra aver bisogno.
 
Questo sarebbe un primo, fondamentale punto di partenza su cui edificare nuove basi etiche, comportamentali, educative.